Darren

La notte ha già avvolto tutta la zona est, quando Darren scende le scale di ferro rugginoso all’interno del magazzino abbandonato. I suoi occhi un passo dopo l’altro si abituano all’oscurità. Aveva sceso quei gradini milioni di volte, contravvenendo ai numerosi avvertimenti della madre quando era ancora in vita. Non poteva non tornare. Ricorda molto bene il giorno che suo padre fu arrestato e condotto in carcere. “Non piangere” furono le sue ultime parole e lui, non non lo aveva mai fatto. Neppure mentre guardava la cassa con dentro il corpo, il braccio meccanico che la calava nella fossa e i due uomini vestiti di nero, che la ricoprivano con la terra smossa. Rammenta chi gli diede il nome che porta e, non ha mai dimenticato per un istante quello vero. Ha giurato e spergiurato un’infinità di volte che lo avrebbe riacquistato a costo della vita. Guarda il cumulo di scaffali rovesciati e lascia che l’odore nauseante di muffa e abbandono, gli penetri nei polmoni. Raddrizza una vecchia sedia alla quale manca una ruota e si lascia cadere sopra, appoggiandosi allo schienale. Chiude gli occhi, inspira a fondo e la sua mente lo trasporta nel lontano passato. Al giorno che lui e sua madre, dovettero abbandonare tutto quello che erano.

— Grazie, per quello che stai facendo. — Dice la donna con voce soffocata sforzandosi di trattenere le lacrime.
— Solo Dio può decidere se un bambino deve vivere o morire. Fammi fare un ultimo controllo. — Risponde l’uomo in uniforme azzurra, dall’altra parte della scrivania.

Passa la mano di lei sotto a una lente e sul palmo compaiono alcuni caratteri luminosi verde fosforo. L’uomo osserva lo schermo alla sua destra.

— Peigin Braxton, trentuno anni, nata ad Alva il… Non va bene. L’età non corrisponde al cento per cento con la data di nascita. Un attimo… Fatto. Vediamo il giovane.

La donna prende la mano del bambino che tiene sulle ginocchia e la porge all’uomo.

— Non ti farà male.

La boccuccia del fanciullo si spalanca dallo stupore quando assiste alla comparsa dal nulla delle lettere. Gli occhi dell’uomo scorrono velocemente sul monitor poi, si fissano sul bambino.

— Hai l’aria da furbo. Questa nuova identità ti sta come un vestito su misura.

Si rivolge alla donna.

— Peigin! Ricorda, ti chiami così. Se dovessi sentirti chiamare con il tuo vecchio nome, non dovrai voltarti. Uguale per lui.

— Faremo attenzione.
— Dove andrete?
— Ancora non lo so. Ma il più lontano possibile da qui.
— Quando partirete?
— Stanotte. Non sentirai più parlare di noi. Grazie anche a nome del mio defunto marito.

La voce è distaccata ma il tono la tradisce. L’uomo socchiude le labbra per dire qualcosa, poi tace. La donna fa scendere il bambino dalle ginocchia, si solleva con grazia dalla sedia e lo prende per mano. Sono alla porta, quando una voce le grida alle spalle.

— Aida!

I due escono senza voltarsi.

Darren apre gli occhi e osserva la devastazione che lo circonda. I suoi pensieri hanno cambiato del tutto direzione.

— Devo a ogni costo incontrarlo. E so chi mi aiuterà.​