IV

La storia umana di ogni epoca è rossa di sangue, avvelenata di odio e macchiata di crudeltà, ma è solo dai tempi della Bibbia che queste caratteristiche non hanno avuto limiti.
(Mark Twain)

Il rabbino Elia Tewic stava preparando il caffè  seguendo l’antica ricetta di famiglia e l’odore del cardamomo, si diffondeva nella piccola cucina. Considerava quella pratica una sorta di preghiera, per questo indossava il talled, mentre la eseguiva. Viene bruscamente interrotto, da un leggero ticchettio alla porta. Osserva il contenuto dell’ibrik. Era ancora lontano dal punto di ebollizione quindi, poteva allontanarsi senza comprometterne il risultato finale. Apre e si trova davanti due uomini che conosce fin troppo bene. Il rabbino spinge con forza la porta ma il più vicino dei due, v’infila in mezzo un braccio. L’uscio si spalanca colpendo l’uomo all’interno e ricacciandolo indietro di qualche metro. Appena dentro uno dei due lo colpisce al viso. Un rivolo rosso carminio, scorre dal naso alla bocca, rigandogli prima i baffi e poi la barba. Finisce a terra. Con la difficoltà di chi è più avvezzo alla preghiera che all’attività fisica, si mette seduto ma l’altro, gli sferra una pedata allo sterno che lo manda supino. L’uomo sente bruciare i polmoni e per quanto riesce cerca di trattenere il fiato.


– Siete solo dei volgari assassini. Le scritture dicono: ” chi sparge il sangue di un uomo, per mezzo di un uomo, il suo sangue sarà sparso.”
– Dicono anche: “L’istinto del cuore umano è incline al male.”

L’uomo fa un cenno con la testa all’altro ceffo che estrae un coltello dalla lama ricurva, si porta dietro al rabbino , gli afferra la testa tirandogliela verso l’alto e prende a recitare delle parole sottovoce.

– “Quindi stese la mano e prese il coltello per scannare al fine di uccidere”.

Con un gesto lento gli fa scorrere la lama sotto alla gola e lo lascia. Si china e ripulisce l’arma con la stoffa del talled, mentre il pover’uomo si rotola nel sangue cercando invano di tamponarsi lo squarcio con le mani. Un’agonia che dura qualche minuto poi il corpo giace immobile e i due se ne vanno.

Holmes guarda fuori dal finestrino della carrozza.

– La via è questa.

Una pioggerella fine ha preso a cadere dal cielo e procedendo lungo la strada le ruote sollevano schizzi che ricadono ai bordi. Improvvisamente il mezzo rallenta e Holmes riaccosta la tendina. Scesi dalla carrozza Watson porge uno scellino al cocchiere che cerca di accaparrarsi un’altra corsa.

– Occorre che vi aspetti?
– No. – Risponde il dottore – Vada pure, grazie.

Quando arrivano alla porta Holmes distende il braccio costringendo Watson a fermarsi e devia l’attenzione del dottore verso il pavimento, sul quale delle impronte scure si mescolano alle venature in rilievo del legno quasi grezzo. Holmes scosta la porta di qualche centimetro. Un uomo giace in posizione innaturale su grosse macchie scure. Il dottore entra e si tampona la bocca con il palmo della mano, mentre Holmes lo segue imperturbato.

– Cosa ne pensa, Watson?

– Gli hanno tagliato la gola ma non è morto subito. Inoltre dalla tumefazione delle labbra e del naso, posso asserire che è stato aggredito prima di essere ucciso.

Il dottore tocca con una mano le labbra dell’uomo.

– E’ morto non più di sei ore fa.

Holmes fa correre lo sguardo.

– Erano in due. Uno, senza dubbio quello che lo ha aggredito per primo si è fermato qui, mentre l’altro, quello che gli ha tagliato la gola, è arrivato, quì.
– Potrebbe essere la stessa persona.
– Se fosse un buon osservatore non le sarebbe sfuggito che le impronte sono diverse e che quella lasciata sull’abito all’altezza dello sterno, probabilmente da un calcio, non corrisponde a queste. Non ho idea di chi siano gli assassini ma le posso assicurare caro Watson, che posso dedurre esattamente come sono andate le cose.

Mentre Holmes si muove rapido mettendo a fuoco con la lente alcuni punti. La porta si spalanca di colpo e un uomo con impermeabile e bombetta, irrompe all’interno, seguito a pochi centimetri da altri due in uniforme.

– Holmes, cosa diavolo ci fa qui?
– Ispettore Lestrade, anche per me è un piacere vederla.
– Capo, venga a vedere che spettacolo.

L’uomo fulmina con lo sguardo Holmes poi va verso l’agente.

– Regina madre! Cosa diavolo…
– Il taglio appena al di sotto del pomo d’Adamo ha causato una grossa emorragia che lo ha fatto morire dissanguato – Recita Watson.
– Il tagliatore di teste è mancino e pesa sulle novanta, circa. – Aggiunge Holmes.
– Cos’è questo puzzo di bruciato? – Chiede Lestrade guardandosi attorno.
– Caffè, con l’aggiunta di qualche spezia che però ignoro. – Risponde Holmes – Se voleva berne una tazza è arrivato troppo tardi. Andiamo amico mio lasciamo che sia la capaceScotland Yard ad occuparsi della faccenda.
– Farà bene a non cambiare idea – Gli grida dietro L’ispettore prima che i due spariscano dalla vista.

Una volta all’esterno Watson incuriosito, interroga Holmes.

– Che l’assassino sia un mancino, l’ho capito anch’io dalla direzione del taglio, ma da cosa ha dedotto il suo peso.
– Elementare, Watson. Non l’ho fatto.
– Aspetti un attimo. Lei non più di due minuti fa, ha detto che il tagliatore di teste pesa sulle novanta libre.
– Ho semplicemente lanciato un numero a caso per fare un po’ innervosire il nostro amico Lestrade.
– Chi potrebbe mai volere la morte di un religioso?
– Qualcuno al quale non gli è andata a genio la trovata della lettera.
– Vuole dire che era lui l’autore anonimo?
– E chi altro?
– Se così fosse allora cade la sua ipotesi che la lettera sia servita per convincerla ad indagare sul simbolo.

Holmes si arresta.

– Ma certo! Come ho potuto essere così stupido.

Watson inarca un sopracciglio.

– L’autore della lettera – riprende Holmes – non voleva che indagassi sul simbolo.
– Continuo a non capire.
– A suo tempo caro Watson. A suo tempo.