L’inizio

Neumarkt, Slesia meridionale, 12 aprile 1943.

— Non pensa abbiamo già subito troppe perdite?
— Paura?
— No! Sono uno scienziato. Lavoro per la conoscenza. Non per…
— Basta!
— E’ un illuso Herbert. Crede sopravviveremo? Meglio morire subito fucilato che agonizzante in un lettino per giorni, mesi o magari anni.
— Troverà come limitare i rischi. Vada a chiamare Karl e sistemate gli elementi.

L’uomo guarda verso il centro della stanza, dove dimora un imponente cilindro metallico ed esce sbattendo la porta. L’ufficiale prende un fazzoletto di stoffa rossa ricamato e si asciuga la fronte.

— Un’altra di queste uscite e lo denuncio alla commissione.

Ripiega con cura il fazzoletto e gli appoggia le labbra.

— Elizabeth, tornerò presto. Ti porterò via. Te lo prometto.

Ripone il pezzo di stoffa nel taschino dell’uniforme. Lo scienziato torna insieme al giovane collega. Sistemano alcune gabbie con grossi topi a distanza regolare intorno al cilindro. Tra le gabbie, mettono una piantina in vaso, poi Karl si rivolge al militare.

— Pronto.

Il soldato guarda verso il cilindro.

— Procediamo!

Karl sale sulla scala di ferro che appoggia al tramezzo fra due larghi contenitori scuri. Apre il rubinetto alla sua sinistra. Un sibilo. Lo chiude e apre quello a destra. Un gemito si propaga nella stanza e il liquido color porpora, fluisce attraverso i tubi fino all’enorme cilindro. Chiude entrambe le valvole e scende dalla scala. Il militare lo osserva.

— Diamo energia e incrociamo le dita.

I tre si dirigono verso la stanzetta adiacente. A turno abbassano e alzano delle leve. Il vecchio professore infila la mano in una piccola maniglia. Gli occhi sono fissi sul marchingegno. I nervi sembrano uscirgli dal dorso della mano. L’ordine del soldato lo scuote dal torpore.

— Energia.

L’uomo ruota lentamente il polso e dall’altra stanza si alza un frastuono metallico. Il cilindro trema. Una luce bluastra investe i loro occhi. La scala si libera dal sostegno, si scaglia a proiettile contro il cilindro. Un muggito metallico. I contenitori strappano i fermi dal muro. Abbattono la parete di vetro e cemento armato. Uno dei recipienti travolge Karl e lo impatta contro la parete opposta. Il flusso di corrente diminuisce e il silenzio cala sui due superstiti. Il professore allunga le braccia e si guarda il dorso delle mani.

— Siamo esposti per intero.

La stanza è illuminata da una fredda luce blu e il suo sguardo si ferma sul pavimento..

— Karl.

Del giovane scienziato, erano rimasti solo brandelli sparsi intrisi in grosse pozze di colore rosso dal brillante al violaceo. l’ufficiale si alza. Vede l’uomo che ripone con cura alcune porzioni di corpo del giovane tra la stoffa del camice. Gli spinge con forza una mano sulla spalla.

— Ci sono i prigionieri per pulire.

Il professore si scrolla il peso della mano del soldato, lascia cadere i cenci raccolti e si scaglia contro di lui.

— Brutto bastardo! Era solo un ragazzo. Fanculo tu e la tua dannata guerra.

Seduto sopra l’addome percuote il viso dell’ufficiale con violenti pugni. Fiotti di sangue lo investono finché ansimante non si blocca. Gli strappa un pezzo di stoffa rossa che sporge dal taschino dell’uniforme e si asciuga gli occhi.

— Cosa, ho fatto?

Una voce lo fa sussultare.

— Un ottimo lavoro.

Lo scienziato cerca di focalizzare il volto in penombra.

— Chi è? Come ha fatto a entrare?

Guarda il corpo esanime del militare.

— Non so cosa m’è preso.
— M’impegnerò perché i suoi amici abbiano una degna sepoltura. Si tratta di un progetto segreto e nessuno saprà mai cosa è successo. Noi, abbiamo bisogno di lei.
— Di me? Perché? Noi?

L’uomo allunga un dito e si solleva di poco sulle punte.

— Perché lei è la mente che ha progettato quello.
— Un fallimento. Chiunque entra in contatto con la sua energia, muore.
— Lo ha appena fatto ed è in ottime condizioni, e poi sono sicuro, lo perfezionerà. Le verranno affiancati nuovi assistenti e il compenso che riceverà per i suoi servizi, sarà molto soddisfacente. Si liberi di quel grembiule da macellatore, prenda tutta la sua roba e usciamo da questa catacomba. Un’auto ci aspetta di sopra.



IL professore guarda sollevato l’entrata della miniera che da cinque anni era il luogo dei suoi studi e la sua prigione. Viene bendato e aiutato a salire su una macchina con i vetri laterali e posteriore, coperti da una tenda di stoffa nera. Una voce sconosciuta di donna:

— Sogni doro, professore.​

Un pizzico al collo.