Steel hell

Alexina Amie. Qui sorge Steel hell, il carcere di massima sicurezza fiore all’occhiello del potere reggente. Dodici piani suddivisi in base ai reati. Un blocco di freddo metallo sorvegliato da droni di classe X9. La presenza umana al suo interno è ridotta a una cinquantina di guardie armate e al direttore Devereux, un nano deforme celebre per le violenze sui suoi detenuti.

— Spero gradirete il soggiorno. Facciamo un eccezione e vi mettiamo nella stessa cella, ma ricordate: le orge, sono punite con la fustigazione.

Ayelén si abbassa, avvicina le labbra al mento butterato di Devereux e lo sfiora con la lingua.

— Ti piacerebbe posare le tue manine deformi, sul mio corpicino?

Il nano colpisce la ragazza sul naso. Lei salta all’indietro, vorrebbe alzare le braccia ma la fascia magnetica, le blocca il movimento. Il sangue le cola copioso sulle labbra e lungo il mento. Reclina all’indietro la testa e inspira a fondo per frenarlo. La benda si muove e smaschera una cavità oculare vuota, limitata da un fine segno pallido.

— Sì, mi è piaciuto. Vedremo, se mi farai godere così, dopo qualche giorno di permanenza nella nostra suite.

Due guardie liberano e scaraventano uno a uno i prigionieri all’interno della cella, mentre cinque dietro di loro, gli garantiscono la copertura armati di fucili disintegratori. Ayelén si comprime con le dita il naso per fermare l’emorragia, mentre Il nano simula la zampata di una belva feroce e le mostra gl’incisivi aguzzi. La porta viene bloccata dall’esterno. Danita è colta da un fremito improvviso.

— Non lo rivedrò più.

Abe le prende le mani. Non può fare a meno di constatare che sono quelle di una bambina.

— Lo rivedrai presto. Hanno portato qui noi per attirare lui.

— No, Dixon! La nostra sentenza di morte è stata decretata prima, che ci portassero qui.

Danita si volta verso il cinese. Quello che resta del potente Gang Hui è un uomo di mezza età con zigomi molto pronunciati, un kimono di raso color rosso pallido stracciato e scarpe di cuoio opache, che terminano con una punta di metallo.

— Non crede, che ci stiano usando come esche?
— Non hanno bisogno di noi, cara ragazza. Arriveranno comunque, a lui.
— Finitela! Usciremo, da qui. — Urla Ayelén

Abe la fissa negli occhi.

— Pareti, pavimento, soffitto. Tutto acciaio. L’unica apertura e quella lassù che ci permette di respirare. Possono infliggerci ogni tipo di violenza, anche ucciderci.

Ayelén toglie la mano dal naso e questo riprende a gocciare. Afferra per la camicia l’uomo e tracce di impronte carminee si trasferiscono sulla stoffa.

— Non morirò qui. Ficcatelo in quella testaccia, lurido politicante.

La lingua le guizza fuori dalla bocca e spezza il rivolo di sangue che non accenna ad arrestarsi.

Ghang Hui e Danita si siedono a terra. Il cinese non stacca gli occhi dal cerchio nero sul soffitto.

— Se solo il ragazzo sapesse.

Le sue parole rintoccano con la cadenza di una campana che suona a morto.

Ayelén gli si avvicina.

— Sapesse cosa?
— Intendevo se sapesse che siamo qui. — Risponde con immediatezza l’orientale, distogliendo lo sguardo.

Il gesto non sfugge ad Ayelén.

— Bugiardo schifoso. Tu sai, cosa vogliono da lui.
— Ho giurato sui testi sacri.
— I testi sacri? Ci vogliono uccidere e tu mi parli di testi sacri?
— Se violo il giuramento, i demoni guardiani mi mozzeranno la lingua.

Ayelén con un balzo afferra il collo del cinese e stringe la presa. Gli occhi dell’uomo escono dalle orbite e la pelle del viso, assume un colore roso intenso per lo sforzo di respirare. Danita terrorizzata si fa da parte.

— Io, la lingua te la strappo.

Abe si getta su di lei e la obbliga a mollare la presa.

— La vuoi finire di aggredirci tutti? Non è così che salviamo la pelle.

Lei si divincola e gli volta le spalle. Il cinese ansima.

— Puoi uccidermi. Non dirò niente.

La ragazza gli si scaglia contro e gli assesta una ginocchiata sotto il mento. L’uomo vola all’indietro e all’impatto con il pavimento d’acciaio, perde i sensi.

— Vai all’inferno. — Gli urla come potesse sentirlo.

L’amica le si avvicina.

— Ayelén, calmati.
— Quel verme, ci nasconde il motivo perché ci vogliono morti.

Strappa la benda e volta la testa di lato.

— Guarda. Qui, c’era un occhio. Quel bastardo ci ha fatto torturare.

Si china sul cinese.

— Hai idea di cosa significa sentirti un occhio in fiamme e un attimo dopo vederlo in mano al tuo boia?

La sua furia si placa un po’ appena torna a rivolgere lo sguardo all’amica.

— Devo perdonarlo solo perché dopo che abbiamo accennato al tuo fidanzatino, ha cambiato atteggiamento?

Fissa l’orientale a terra.

— Mi devi molto di più. Molto, molto di più.

Si dirige verso Abe che non sostiene il suo sguardo e china il capo.

— Se scopro che tu sai qualcosa, ti uccido con queste mani. — Gli abbaia, e allunga le dita contratte e insanguinate.

Guarda l’uomo a terra ancora privo di sensi, si sdraia sul pavimento freddo, chiude gli occhi, inspira a fondo e schiaccia con forza la benda sul naso per arginare il sangue. Dopo poco, un rumore metallico dall’esterno attira la loro attenzione. La porta si apre e Devereux fa il suo ingresso seguito da alcune guardie. Indica Danita.

— Lei.

Una guardia l’afferra, lei si divincola e strilla. Ayelén si alza. Forse la posizione o forse la benda, ha frenato l’emorragia e ha lasciato solo il fastidio per il sangue rappreso all’interno delle narici.

— Lasciala, Verme! — Intima alla guardia.

Devereux guarda l’orientale ancora privo di sensi, con il collo chiazzato dal sangue di Ayelén.

— Mi fa piacere che vi stiate divertendo. — Dice sorridendo.

Si volta verso Ayelén e torna a farle il gesto della belva feroce, imitando un malriuscito ruggito. La porta si richiude e dall’esterno provengono le grida dell’amica. Ayelén picchia con entrambi i palmi contro l’uscita d’acciaio.

— Ti stapperò il cuore… Mi senti?

Si lascia cadere in ginocchio. Dal suo unico occhio, scendono lacrime che le inumidiscono la guancia e quando arrivano alle labbra hanno sapore salato e rugginoso.​