Sotto terra

— C’è una sola via invisibile ai droni: Le fogne.

Coty scende dalla scaletta. Le mani sudano, per un attimo perde la presa ma per fortuna riesce con l’aiuto delle gambe a mantenersi in equilibrio. Guarda in basso.

— Il puzzo è logorante. Devo mantenermi nei condotti più ventilati.

Arrivato sullo stretto camminamento, usa le dita come una pinza e si tappa il naso alla meglio per qualche secondo. Trattiene il respiro. Aspetta. Poi riprende a inspirare a piccole dosi. Il fetore adesso gli da meno fastidio.

— A est c’è il covo di Delroy, a ovest mi addentro nel quartiere, quindi posso scegliere tra nord e sud. In entrambi i casi, mi trovo nel posto sbagliato. La sponda nord sembra la più vicina.

Il ragazzo si china e afferra il bordo inferiore dei jeans. Arrotola la stoffa finché riesce e scopre dei polpacci pallidi. Si siede, sfila le scarpe e i calzini. Li spinge all’interno delle calzature e reggendole con due dita, entra con i piedi nel fluido lordo. Sente una cosa più fredda dell’acqua e viscida, avvinghiarsi di sfuggita alle caviglie ma decide di proseguire senza indagare. Raggiunge il lato opposto. Appoggia le scarpe sul bordo e spingendosi con le braccia, si solleva. Alla sua destra una luce balugina. Un’ombra è acquattata a pochi metri da lui. Si concentra e cerca di seguirne i contorni. Lo sforzo è enorme e un occhio gli lacrima.

— Chi sei? — Urla.

La voce gli esce strozzata. Nessuna risposta. Secondo tentativo.

— Devo arrivare al quartiere cinese.

L’ombra si estende fino a raggiungere il soffitto ad arco. Coty si schiaccia contro la parete. Quello che arriva alle orecchie del ragazzo è un abbaiare simile a quello di un cane da guardia quando si avvicina un estraneo, ma le dimensioni sembrano essere almeno cinque volte tanto. Gli occhi di Coty schizzano fuori dalle orbite. La creatura si lancia contro di lui. Gli arriva a pochi metri. Si blocca. Salta nella direzione opposta e si allontana. Coty si stropiccia gli occhi. Con fatica infila i calzini. Ha i piedi bagnati. Calza le scarpe e attento a mantenere con una mano il contatto con il muro umido, si dirige nella direzione dove la creatura è scomparsa. Raggiunto il punto dove l’essere stava accucciato, si trova all’incrocio con un altro tunnel e capisce da dove proviene la luce.

— Un fuoco. E anche ben attizzato.

Avanza verso le fiamme e il calore gli infonde una nuova energia. Un tonfo. Il buio.


Quando rinviene ha un dolore straziante alla testa, mani gelide formicolanti, e un sapore amaro in bocca. Apre gli occhi e la luce vi affonda come una lama. Si affretta a serrarli. Li socchiude lentamente. Tre creature vicino a un fuoco, si contendono quella che al ragazzo sembra la carcassa di un grosso ratto. Ogni volta che questa passa dagli artigli dell’una in quelli dell’altra, i brandelli di carne e pelo, si lacerano come carta velina. Coty cerca di muovere le mani, ma polsi e caviglie sono legate strette, con una primitiva corda di fibre. Tira le ginocchia al petto e punta i piedi. Cerca di acquistare la posizione eretta, ma cade all’indietro. Una delle creature con un pezzo di carne che trasuda sangue stretta tra gli artigli, gli si avvicina, si abbassa e l’annusa. Coty ha gli occhi chiusi e trattiene il respiro. L’alito del mostro è pestilenziale. Il ragazzo sente il vomito salirgli fino alla bocca. La creatura si solleva, ingoia il boccone e ritorna dalle compagne. Appena si allontana, Coty riapre gli occhi. Deve scegliere: restare sdraiato a fare la parte dello svenuto finché gli riesce e allontanare di qualche ora la morte, oppure accelerare i tempi e farsi sbranare subito.

— Ehi, mostri! —​ Grida.

Le creature si voltano a guardarlo. Quella che poco prima si era abbassata su di lui, ruggisce. Una spicca un balzo e sparisce nel buio. La terza si acquatta. Coty attende senza respirare ma le due restano ferme come statue. Dal buio compare un’omo con indosso un saio rosso. Dietro di lui, lo seguono altre tre creature. Ha il volto ben visibile anche se ha il cappuccio calato sul capo. Tiene le mani infilate all’interno delle maniche nello stile orientale. La mente di Coty si perde in un vortice di ragionamenti.

” Un frate! Ma il colore del saio, non appartiene a nessuna religione tradizionale, quindi deve trattarsi di un adepto di qualche setta. Il suo viso è di un incredibile pallore. Deve essere dovuto al fatto che vive per gran parte del suo tempo qui sotto. Potrebbe essere un asceta di qualche religione sconosciuta. Si spiegherebbe perché l’abito è di qualche misura più piccolo. Deve essere venuto qui giù parecchio tempo fa. Le creature lo seguono come un cane con il padrone. E siccome è improbabile che si comportino allo stesso modo con me, deve per forza esserlo.”

L’uomo si avvicina al ragazzo e sfila le mani. Nella sinistra impugna un coltello dalla lama lunga e sottile. Coty trattiene il respiro. Vorrebbe urlargli in faccia.

“Spero che ti strozzi con le mie carni.”

L’uomo con l’arma in pugno, gli gira attorno un paio di volte.

— Chi sei?

Di nuovo la collera del ragazzo sta per prendere il sopravvento.

“Sei tu pallido bastardo che dovresti dirmelo, visto che mi tieni legato come un salame da non so quanto tempo.”

Ma dalla sua bocca esce tutt’altro.

— Mi chiamo Coty Miller.

L’uomo lo guarda come se volesse vedergli attraverso, si china su di lui e con il coltello, gli fa un taglio nella manica della camicia all’altezza della spalla. Infila il dito all’interno del taglio e strappa con violenza la stoffa. Osserva il tatuaggio marcato a fiamma. Gli volta le spalle. Infila le mani all’interno delle maniche. Lancia un grido che a Coty sembra un misto tra il latrato di un cane e il bramire di un orso. Le creature balzano nella direzione dalla quale erano venute. Si torna a voltare verso il ragazzo. La pelle funerea della fronte è corrugata, gli occhi due sottili fessure dalle quali sembra impossibile guardare.

— Coty, Miller.

Coty cerca di allungare le gambe irrigidite. Gli fanno male come se gliele avessero spezzate. La voce gli esce bassa come un ringhio. Questa volta le parole che dice sono quelle che vuole dire.

— Tu, invece, chi sei?

L’uomo non cambia espressione. E’ assorto in chissà quali pensieri. Poi risponde:

— Il monaco.​